In generale, indipendentemente dall’autore, alla base di ogni critica antisionista si trova la tesi dell’esistenza di un nesso causale tra sionismo e antisemitismo. In definitiva, secondo questi critici, il sionismo non sarebbe altro che una reazione all’antisemitismo e lo stesso <
In altre parole la scelta della Palestina come patria sarebbe il frutto di una situazione storica contingente e non di un loro legame millenario con quella terra.Tutto ciò perché, come ha scritto il trotzkista Abram Léon, il millenario legame tra ebrei e la Palestina è un falso mito, non è mai esistito e non corrisponde ad alcun interesse reale del giudaismo.
Queste tesi che nacquero all’interno della sinistra marxista alla fine dell’ottocento trovarono,ovviamente, larga diffusione nel mondo arabo e hanno costituito la base ideologica di quello che Maxime Rodinson ha definito il <
“Il sionismo è un’ideologia imperialistica, colonialistica, razzista, profondamente reazionaria e discriminatoria; essa è legata all’antisemitismo nei suoi principi e rappresenta, in effetti, l’altra faccia della stessa medaglia. Poiché quando si propone che gli appartenenti al popolo ebraico,al di là della loro nazionalità originaria, non devono né fedeltà al proprio paese natale né devono considerarsi eguali ai loro o concittadini non ebrei -quando viene proposto tutto ciò, noi cogliamo in realtà la proposizione di temi antisemitici. Quando si dice che l’unica soluzione per la questione ebraica è che gli ebrei si distacchino dalla comunità o dalla nazione cui erano storicamente uniti, e quando si propone che essi risolvano i loro problemi immigrando insediandosi nella terra di un altro popolo tramite il terrorismo e la forza,allora sentiamo che viene indicato esattamente lo stesso atteggiamento tenuto dagli antisemiti nei
confronti degli ebrei”.
La logica conseguenza di tale dottrina è stata quella di presentare lo stato d’Israele come il risultato di un atto d’ antisemitismo, l’olocausto, e della conseguente scelta europea e americana di porre rimedio a questa ingiustizia compiendone un’altra a danno degli arabi.
Lo stato israeliano in Palestina sarebbe quindi una entità artificiale senza radici storiche, frutto di un atto imperialistico occidentale e compiuto ai danni dei legittimi abitanti di quella terra: i palestinesi; di conseguenza, l’eliminazione di tale stato sarebbe solo un atto di giustizia storica.I sionisti, al contrario, hanno riconosciuto che l’antisemitismo possa aver agito da catalizzatore del movimento nazionalista ebraico, ma hanno sempre rifiutato l’idea che possa esserne stato il “generatore”.
Max Nordau, a proposito, ha scritto che l’antisemitismo poteva essere considerato “tutt’al più una occasione, non certo la causa” del sionismo. Infatti: “L’odio contro gli ebrei non ha fatto altro che ridestare in molti di loro la coscienza ebraica assopita, e richiamarli alla loro individualità storica. Li ha indotti a riflettere attorno alla loro posizione nel mondo, ai loro rapporti verso altri popoli, a quello che essi possono sperare come singoli uomini e come collettività; e questa riflessione non l’ingiustizia degli antisemiti, ha fatto di loro dei sionisti convinti e risoluti”.
La sintesi migliore del pensiero sionista in materia è, però, quella che ci fornisce Ben Gurion tramote il racconto della sua esperienza personale:
“Certamente l’antisemitismo ha agito come catalizzatore del Sionismo in generale. Esso ha trasformato lo stesso Herzl da un dilettante perfettamente a suo agio nel mondo non ebraico in un uomo che si è speso per ottenere una patria. E il fatto che gli ebrei fossero soggetti a periodico ostracismo e a persecuzioni ha reso per loro ancora più importante avere un posto per loro stessi Ma io, personalmente, non ho mai subito persecuzioni. Noi emigrammo non per motivi negativi quali la necessità di fuggire ma per lo scopo positivo di ricostruire una madrepatria, un posto dove non saremmo stati sempre stranieri e che attraverso il nostro lavoro faticoso sarebbe diventata irrevocabilmente nostra”.
L’evolversi del processo migratorio ebraico dalla Zona di Residenza, (da dove provennero praticamente tutti i sionisti) conferma la teoria sionista. Gli ebrei che volevano “semplicemente” scappare dai pogrom e trasferirsi in paesi che offrissero loro l’occasione di migliorare il loro livello di vita, garantendogli pari diritti politici economici e sociali, evitarono di andare in una zona arida e malsana e si trasferirono negli Usa o nei dominions britannici.(tra il 1881 e il 1904 furono 1.400.000). A Eretz Israel si recarono solo coloro che volevano realizzare il progetto sionista (diecimila nello stesso periodo).Ma qual`e` questo piano?
Era tanto semplice quanto rivoluzionario:l’ebreo doveva trasformarsi da oggetto a soggetto della Storia. Non poteva continuare a spendere generazione dopo generazione una vita passiva in attesa che il Messia con la sua venuta ponesse fine alla all’umiliante e alienante diaspora e riportasse il popolo nella Terra dei Padri. L`ebreo doveva riuscire a tornare alla propria terra a cui era legato per tradizione e religion con le proprie forze.
Questa era la “conditio sine qua non” attraverso cui l’ebreo poteva rinascere ma non era sufficiente. Infatti tutto sarebbe stato inutile se una volta giunti a Eretz Israel, gli ebrei avessero riprodotto lì le condizioni della Diaspora, ossia avessero continuato a vivere disprezzando il lavoro agricolo produttivo per dedicarsi solo al commercio, a impieghi nel terziario, o addirittura si fossero limitati a vivere di carità. La rinascita, invece, avvenne perché a partire dalla seconda Alyiah i sionisti adottarono un nuovo modello di vita basato sulla coltivazione della terra.
Alan Dowty ha dimostrato come “l’immigrazione di massa di ebrei non ideologizzati che giungevano -in Palestina- semplicemente perché, non avevano altri posti dove andare si verificò solo alcuni decenni più tardi quando, in Israele, vi erano già solide strutture e istituzioni create proprio dai sionisti delle prime aliyah.”