lunedì 8 giugno 2009

GLi abitanti dei campi profughi esclusi dalle elezioni libanesi

Guardo la tv e mi sembra che parlino tutti di noi, Obama, Ahmadinejad, i politici libanesi». Bassam al Haik pulisce il rasoio sull’asciugamano, saluta il cliente e mette in tasca la banconota da 2000 lire (un euro). Trentadue anni, 3 figli, ha imparato il mestiere dal padre che aveva imparato dal nonno: tre generazioni di barbieri in 5 metri quadrati tra i vicoli del campo profughi palestinese di Chatila, alla periferia Sud di Beirut. I libanesi votano per il governo a cui paga l’elettricità, osserva Bassam riponendo la gelatina Haway nel mobiletto sovrastato dal poster di Zidane. Lui però non ha voce in capitolo: «Vorrei il passaporto libanese per poter lavorare fuori da qui. Se potessi, sceglierei l’opposizione».

Il poster del leader di Hezbollah Nasrallah colora il tetro muro di cemento dell’edificio che s’innalza a mezzo metro dalla sua vetrina. Quattrocentomila palestinesi invisibili sono il rimosso di questa campagna elettorale, coscienza torbida dei due blocchi che si contendono il futuro del Paese sfidando il passato, la guerra civile, il fato dei fratelli di serie B rifugiati qui dal ’48. «Il diritto al ritorno non va collegato al diritto alla nazionalità», denuncia Lina Abou-Habib, responsabile dell’organizzazione non governativa Crtd.A. L’eventuale inclusione che cancellerebbe i 12 campi profughi, buchi neri tra la valle della Bekaa e il mare, divide i politici in modo trasversale, soprattutto sulle ragioni del rifiuto.

Sostiene Hezbollah che regolarizzare i profughi allenterebbe la pressione su Israele, i custodi dell’equilibrio confessionale obiettano che un’iniezione di sunniti altererebbe la delicata miscela nazionale, generali e alti ufficiali ricordano senza nostalgia i giorni in cui l’Olp cresceva autonoma, uno stato nello stato. All’ingresso di Chatila, sullo sterrato coperto di spazzatura come in una delle drammatiche inquadrature di Valzer con Bashir, il film dell’israeliano Ari Foldman sul massacro del 1982, due ragazzini inseguono la palla dribblando il carretto di pesche che avanza incerto. Passi per l’acqua potabile, scherza, inossidabile alla malasorte, il vecchio che lo traina: «Avevo 2 anni quando sono arrivato e non c’è ancora un campo di calcio».

Giovedì centinaia di migliaia di libanesi hanno cercato nell’impegno del presidente americano per la pace in Medio Oriente un riferimento che li riguardasse. «La presenza dei palestinesi ci ha già creato molti problemi negli Anni 70, il Libano non può permettersi di assorbirli», spiega l’ex ambasciatore Khalid Makkawi. Beirut si fida di Obama. La vetrina della libreria Way In, nel cuore di Hamra, espone 5 titoli dedicati al nuovo inquilino della Casa Bianca, dall’Audacia della speranza a un manualetto a prova di scettici, Obama for beginners. Sognando che il mantra «We can» possa un giorno sciogliere le contraddizioni di un paese che fa la fila al cinema per vedere lo slum malsano di Bombay nel film The Millionaire ma chiude gli occhi di fronte a quello quasi identico cresciuto nel cortile di casa. «La situazione dei palestinesi è disastrosa, un inferno», afferma lo scrittore Jabbour Douaihi che sta per pubblicare con Feltrinelli Pioggia di giugno.

In cima alle scale di una palazzina con i cavi elettrici che penzolano come liane della giungla, Rwaida Maser Ukadid pulisce la verdura per preparare la mloukia, il piatto preferito dei suoi 4 figli. Ha 42 anni, è vedova da dieci: «Mi arrangio con quello che mi mandano i parenti dalla Danimarca e gli aiuti delle Nazioni Unite, riso, olio, 50 dollari ogni tre mesi». Il figlio Ahmed, 19 anni, studia ingegneria all’università di Beirut: «Lo so che sarà costretto a fare il muratore, ma ci tiene tanto a questa laurea, ho venduto tutto l’oro della famiglia per pagare l’iscrizione. Vorrei avere la cittadinanza solo perché potesse avere le chance dei suoi coetanei». Secondo la legge i palestinesi non possono acquistare la casa e sono esclusi da 72 professioni considerate prestigiose, avvocato, medico, ingegnere. «Non resta che aprire una bottega nel campo o lavorare a giornata, guadagnano la metà dei 20 dollari che spettano a un libanese», spiega il direttore del National Institute of Social Care&Vocational Trainig Hasem Haine nell’ufficio all’ingresso di Chatila, sulla strada piena di bandiere del Fronte 14 marzo. Ha apprezzato che Obama abbia parlato di Palestina, pioniere nel sostituire il sogno alla geografia. La realtà che vede dalla finestra però, 16 mila persone di cui metà minori di 20 anni, lascia poco spazio alle fughe in avanti. «Siamo l’unica diaspora che invece di mandare i soldi in patria è costretta a riceverli», osserva Jamile Shedade, 55 anni, assistente sociale al centro Beit Atfal Assumoud, nel cuore del campo. Gli emigrati libanesi sono tornati in massa per sostenere e finanziare il cambiamento, qualsiasi esso sia. Chatila li guarda da lontano.

Francesca Paci.LA STAMPA

Il motivo per cui i palestinesi da oltre 40 anni sono ancora dei profughi nei diversi paesi arabi è quantomai banale: servono a questi paesi sia come manodopera semischiavistica sia come strumento per fomentare l'odio antisemita e impedire la pace.Tutto questo, ovvimente, supportato dalla propaganda comunista,liberal, fascista,e in parte cattolica(mi riferisco a categorie culturali ideologiche piuttosto che a specificipartiti).
E' altresì vero che i palestinesi,fomentati dall'Unione Sovietica che li ha sempre riforniti di armi e incitati alla guerra, hanno quasi distrutto il regno giordano e hanno portato alla distruzione del Libano

5 commenti:

  1. bel post...un pò troppo favorevole al rientro dei profughi palestinesi nelle terre originarie in Israele e palestina: secondo il tuo ragionamemnto questo dovrebbe eliminare l'antisemitismo e l'avversione a israele...questo è sicuramente giusto, soprattutto per eliminare la caus palestinese come strumento in mano a governi arabi(per diversi fini sia antiisraele ma anche politica interna aggiungo io)....però nn credo sia così facile: in quanto spesso sarebbero immigrati un altra volta nelle loro terre: è un problema che si pone negli stati fondati quasi esclusivamente da immigrati (come israele usa ecc) ...i problemi sono molto più ami: chiaro far rientrare I PROFUGHI PALESTINESI sarebbe un buon inizio...ma nè israele nè i paesi arabi LO VOGLIONO:sono 2 facce della stessa medaglia!!!

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  2. E poi c'hanno il coraggio e la faccia tosta di accusare Israele di razzismo e apartheid. Che schifo!

    Cohiba, l'antisemitismo non è dovuto dalle presunte ingiustizie subite presuntamente dai cosiddetti profughi palestinesi. L'antisemitismo nasce molto prima degli anni '60 del 1900 quando fu inventato il "popolo palestinese" in funzione anti-israeliana e, diciamocelo chiaramente, antisemita (per sostituire in parte il vecchio antisemitismo di matrice cristiana, islamica, nazifascista e comunista secondo il quale gli ebrei erano assassini di Gesù, di bambini cristiani e/o musulmani - non ti ricorda niente? - complottatori, ecc. ecc.)

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  3. l'antisemistismo in europa esiste da sempre....con l'affremarsi del cristianesimo....più gli stati erano cristiani fondamentalisti (es S.Pontificio fino al suo annientameno nel 1970, o la Russia prerivoluzioanria dei pogrom che hanno dato inizio alla grande immigrazione in palestina)...nei paesi arabi l'antisemitismo è iniziato in mod preponderante con al nascita di israele...purtrupoo si è identificato uno stato con un popolo(un pò come nella seconda guerra antifascismo e essere antiitaliano per gli occupati dall'impero)...il popolo palestinese fu inventato...bò nn so cosa vuoi dire...il popolo d'Israele è fatto quasi tutto da immigrati...ma definirlo inventato mi sembra molto riduttivo....inventare un popolo la prima volta che lo sento dire...

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  4. ALL'ANIMA DELLA "FRATELLANZA ARABA", della UMMAH ecc... !!!

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  5. Queste sono considerazioni tratte in modo fin troppo evidente da una scarsa conoscenza della questione israelo-palestinese. Dando la cittadinanza a qualsiasi profugo palestinese darebbe si la possibilita' a questo di poter esercitare liberamente una professione, votare ecc., ma allo stesso lo priverebbe definitivamente di qualsiasi possibilita' di fare ritorno nella sua terra. Difatti la legge israeliana vieta il ritorno e la permanenza a qualsiasi palestinese in possesso di un'altra nazionalita'.
    Ma qualche domanda ve la fate, vi documentate, cercate di capire il perche' di quello che accade nel mondo oppure attingete alla propaganda di potere come se fosse il vostro mantra? Tutti questi commenti che fate si chiamano "disinformazione"

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