lunedì 30 novembre 2009

E` giusto salvare Shalit Gilad a qualsiasi costo?


Il governo israeliano da alcuni mesi sta`trattando per il rilascio del giovane caporale Shalit Gilad,rapito nel giugno del 2006 da Hamas, ed in cambio sembra pronto a rilasciare circa 980 carcerati palestinesi tra i quali sono inclusi assassini e terroristi. In realta` la trattativa, sembra ruotare tutta intorno a quattro persone Ibrahim Hamad, Abdullah Barghouti Abbas Asayeb e Ahmed Sa'adat, che Hamas vuole assolutamente e che Israele ha forti difficolta` a rilasciare.
I quattro sono alcuni tra i principali responsabili del bagno di sangue che avvenne in Israele tra il 200o e il 2003, in seguito a una lunga serie di attentati suicida.
Nello specifico, Hamad leader dell`ala armata di Hamas a Ramallah e` in carcere, perche` nel 2004 uccise una donna israeliana incinta di otto mesi e I suoi 4 figli di 11, 9, 7 e 2 anni.
Abdullah Barghouti,figlio di Marwan Barghouti,e` lo stratega che preparo` le cinture esplosive usate dai terroristi suicida per provocare almeno 4 stragi tra il 2000 e il 2003.
Abbas Asayeb organizzo` l`attentato suicida al Park Hotel di Netanya che costo` la vita a 29 persone.
Ahmed Sa'adat, l`unico non appartenente ad Hamas, e` il leader del fronte per la liberazione della Palestina, ed e` in carcere per aver assassinato nel 2001 Rehavam Ze'evi, ex ministro al turismo.
Inevitabilmente l`eventualita` di un loro rilascio preoccupa e divide l`opinione publica israeliana.
In particolare due sono le obiezioni che vengono mosse al governo israeliano.
Una e` soprattutto di natura “morale” in quanto rilasciare questi terroristi significa infliggere una nuova ferita alle persone vittime degli attentati o che in essi hanno perso dei cari.
L`altra riguarda la sicurezza d`Israele. Legittimamente, infatti, ci si chiede se rilasciare questi strateghi del terrore non comporti la possibilita` dello scoppio di una terza intifada,(secondo alcuni commentatori gia` pronta a scoppiare a causa della lotta di potere tra Hamas e Al Fatah) con una nuova raffica di attacchi terroristici in tutto Israele.
Inoltre, l`accettazione dello scambio sara` presentata da Hamas come una vittoria,cosa questa che ne` favorira` l`espansione della sua influenza nella societa` palestinese.
Infine l`accordo potrebbe spingere i terroristi a compiere ulteriori rapimenti di soldati e cittadini israeliani.
In una qualsiasi altra democrazia la questione, molto probabilmente, non si sarebbe nemmeno posta perche` in una situazione normale nessun stato cederebbe ad un simile ricatto.
Israele invece deve affrontare questo problema perche`e` uno stato sempre minacciato di estinzione da parte dei vicini.
Uno stato, una societa` in tali condizioni, non puo` fare a meno della coesione del suo esercito e tantomeno puo`rischiare che si diffonda la convinzione che i soldati vivi o morti possano essere lasciati nelle mani del nemico.
Molto probabilmente, la diffusione di questa concezione, sarebbe l`inizio della fine per lo stato d`Israele.
A questo aspetto ne va poi aggiunto anche un`altro di natura "filosofico-ontologica".
La contrapposizione tra Israele e l`islamismo sia esso espresso attraverso gruppi terroristici (Hamas Hezbollah), stati (Iran) e/o reti transnazionali (Fratelli Musulmani) e` soprattutto una contrapposizione tra due concezioni dell`uomo,della vita del mondo. Da una parte il movimento islamista che fonda, o sogna di realizzare, societa` chiuse basate sul terrore e sull`odio, dove alle persone viene instillato un valore che va contro la natura dell`uomo qual`e` l`amore per la morte.
Dall`altra una societa` aperta basata sull`amore per la vita, la tutela dei deboli, l`impegno a dare un futuro ai propri figli.
Israele, proprio perche` e`ben consapevole di cio` non puo` lasciare che i propri figli siano abbandonati agli islamisti, nemmeno quando questo comporta sacrifici incredibili.
Non puo` farlo nemmeno se, come ricorda oggi Pierluigi Battista sul Corriere, cio` comporta rilasciare in quasi trent`anni 7000 detenuti arabi molti dei quali implicati in atti di terrorismo per riavere "solo" 14 soldati o i loro resti.
Neoconservatore

sabato 28 novembre 2009

La Polonia equipara i due totalitarismi del secolo scorso


Ieri sui siti ed oggi sulla carta stampata italiana, e` apparsa la notizia che in Polonia si starebbero mettendo al bando i simboli del comunismo.Ebbene tale notizia e` parziale e distorce il significato della decisione del governo polacco.Il disegno di legge prevede infatti che sia i simboli comunisti sia quelli nazifascisti siano messi al bando.
In altre parole, non si tratta di una posizione puramente anticomunista; si tratta di equiparare i due totalitarismi del secolo scorso: nazismo e comunismo.
Dal punto di vista storico tutti concordano, tranne alcune rilevanti eccezioni, che i comunisti ovunque hanno potuto prendere il potere con la forza o con brogli hanno poi instaurato regimi antiumani liberticidi.
Questi regimi sono sopravissuti solo privando i propri cittadini delle liberta` fondamentali quali la liberta` religiosa, la liberta`d`espressione, la liberta` di coscienza, la liberta` di movimento.
Hanno costruito e mantenuto il loro potere basandosi sull`assassinio di massa, sull`arbitrarieta` del potere statuale,distruggendo i legami famigliari, istillando il sospetto e la paura ai propri cittadini.
Tutto cio` non poteva portare che alla poverta` e alla miseria e non poteva non crollare non appena quei governanti hanno cercato (durante l`era Gorbaciov), di mantenere questi modelli del Male in vita, senza ricorrere alla violenza indiscriminata.
In Europa Occidentale ed in Italia si e` pero` ampiamente diffusa la concezione che quei regimi, in fin dei conti erano espressione di una concezione distorta del comunismo e che l`idea del comunismo in se e` buona.
Ebbene la decisione del governo polacco e` importante anche da questo punto di vista perche` aiuta a far emergere la realta`.
Il comunismo e` un`idea malvagia e non puo` che avere come sua applicazione pratica l`istaurazione di regimi totalitari/dittatoriali basati sulla violenza sul sospetto,sull`assassinio di massa.
Il motivo e` semplice: tale dottrina politica come il nazismo si basa sul concetto di colpa collettiva aprioristica. Secondo tale concezione non e` il singolo che e` eventualmente colpevole per le azioni che compie, ma al contrario e` un determinato gruppo etnico, sociale, religioso, che per la sua sola esistenza non puo` che compiere il male e per tanto deve essere eliminato.
Il nazismo ha come elemento discriminante la razza il comunismo la classe.Secondo la teoria nazista chiunque nasceva ebreo o era membro di una razza inferiore era malvagio e doveva essere eliminato per il bene dell`umanita` che avrebbe dovuto essere guidata dalla classe superiore:quella ariana.Secondo la teoria comunista(sia nella versione marxiana,sia in quella marxista leninista,sia in quella maoista) chiunque nasceva borghese era malvagio, non poteva che commettere il male e la sua esistenza non poteva che arrecare danno all`umanita`.Anzi,solo la sua cancellazione dalla faccia della terra poteva porre fine a tutte le ingiustizie umane e dare un radioso futuro all`umanita`.Per questo motivo gli stermini di massa compiuti dal comunismo sono tutt`altro che un`esasperazione o una distorsione della concezione originaria; al contrario sono una logica applicazione.
Di conseguenza la decisione del governo polacco di equiparare ufficialmente i due totalitarismi e` giusta e speriamo costituisca il primo passo verso una decisione europea in tal direzione.

Neoconservatore

venerdì 20 novembre 2009

La poverta` influenza la qualita` del terrorismo non la quantita`


Nel gennaio di quest`anno all`Univerista` di Harvard si e` svolto un convegno su uno dei temi piu` controversi degli ultimi 20 anni: la correlazione tra il terrorismo islamico e le condizioni di poverta`.
Molti giornalisti e intellettuali,soprattutto se liberals e/o di scuola marxista, tendono a presentare tale correlazione come l`unica plausibile, giusta spiegazione al fenomeno del terrorismo. I fatti dimostrano che sicuramente la poverta` l`alienazione il disagio sociale sono fattori da considerare nello spiegare l`influenza e la diffusion dell`islamismo, ma non sono le cause prime di quel fenomeno ne della sua manifestazione terroristica.
E` sufficente scorgere le biografie degli attentatori sucidi, per verificare come la stragrande maggioranza di essi appartengono alla media o all`alta borghesia e abbiano quantomeno il diploma superiore Ultimo caso quello di Mohamed Game.Game cerco` lo scorso ottobre di farsi esplodere dentro la caserma S.Barbara a Milano. Il giorno dopo,quasi tutti i giornali come se fosse un riflesso incondizionato hanno descritto l`attentato come l`atto di un estremista isolato, povero depresso.Nei giorni successivi e` risultato invece che l`attentatore era membro integrato della comunita` islamica milanese ed aveva una laurea in ingegneria.
Altri esperti sostengono che se la poverta` non e` determinante nelle azioni terroristiche di AlQueda, lo e` invece per quanto riguarda il terrorismo palestinese.
Da questo punto di vista tale convegno e` risultato molto interessante.Gli studiosi hanno analizzato i dati forniti dall` ISA, (l`Agenzia di Sicurezza Israeliana) a proposito dei palestinesi che dal 2000 al 2006 hanno compiuto attacchi(o hanno provato a farlo) in Israele, nella West Bank, nella Striscia di Gaza, e sono giunti alla conclusion che la poverta` influenza la qualita` non la quantita` degli attacchi suicida.
In altre parole le varie organizzazioni terroristiche palestinesi per compiere gli attentati piu` complessi,contro obbiettivi ritenuti piu` importanti e la cui riuscita comporta maggiori benefici(anche in termini mediatici) all`organizzazione, reclutano persone con una cultura e un reddito superiore alla media.
In particolare risulta che tra gli attentatori suicida la media di coloro che frequentano l`universita` o sono gia` laureati e` piu` alta dell`8% rispetto alla media generale.
Al contrario per compiere attentati considerate di minor rilevanza, o piu` facili vengono spesso impiegate persone con un livello culturali e un reddito uguale o inferiore alla media che dimostrano spesso anche una minor efficenza.
Risultano evidenti le analogie con il terrorismo islamista mondiale che per gli attentati nelle grandi citta` (New York,Bali, Istanbul, Rabat) ha utilizzato esperti laureate della media alta borghesia, mentre in Afghanistan o in Iraq utilizza anche analfabeti e poveri.
Vi sono inoltre altre interessanti notizie deducibili dale loro biografie.Infatti, la maggior parte di loro proveniva dalla West Bank, risultavano piu` efficaci se avevano un`adeguata istruzione, erano in larga parte maschi tra i 20 e i 30 anni
Nel contempo,pero`, dalle indagini risulta che un alto livello di disoccupazione amplia il “bacino d`utenza” delle organizzazioni terroristiche, soprattutto se queste, come fa Hamas, forniscono anche supporto sociale e culturali,mettendo a disposizione della popolazione asili,scuole e ospedali.
Questo non significa pero` che la soluzione sia quella preferita dall`Unione Europea e dale Nazioni Unite: i finanziamenti a pioggia.
Infatti i finanziamenti svincolati da qualsiasi progetto educativo e sociale aiutano esclusivamente le organizzazioni “socio-terroristiche” come Hamas ad ampliare il loro potere e la loro influenza sulla popolazione.
Mi sono limitato a fornire alcune riflessioni; per coloro che fossero intressati ad approfondire l`argomento possono trovare il resoconto del convegno:

"Economics conditions and the Quality of Suicide Terrorism" sul sito dell`Universita` di Harvard

Neoconservatore

venerdì 13 novembre 2009

Una breve riflessione su Non smetteremo di danzare.



Non smetteremo di danzare e` un libro che parla di singole persone, di gente comune, che prima di essere brutalmente uccisa partecipavano alla vita della propria comunita` l`arricchivano con il loro talento ed il loro impegno mantenendo allo stesso tempo la propria identita,la propria specificita`
Questo libro e` un libro di nomi ed e su questo aspetto che vorrei focalizzare la mia attenzione.
Noi come Societa` Aperta abbiamo scelto come nostra frase simbolo una citazione di Milton Acorda:”Senza liberta nessuno, in realta`,ha un nome".
Questa frase mi ha sempre colpito perche`tutti gli scrittori, i filosofi, i politici che nella storia hanno parlato e scritto di liberta` hanno associato alla perdita di essa la perdita della vita, della dignita` umana, della proprieta` ma nessuno vi ha mai associato la perdita del nome.
Studiando il Novecento ha capito che in realta` il nome simboleggia e unisce in se tutti questi valori.
Il nome e` il simbolo della specificita` di ciascuna persona unica ed irrepetibile.
E` il simbolo dell`individuo che appartiene ad una comunita` ne rispetta le norme e le leggi che contribuisce a creare ma non si annulla in essa.
In definitiva il nome e` il simbolo dell`umanita` insita in ciascuno di noi.
Lo scorso secolo due totalitarismi, quello comunista e quello nazista, hanno devalorizzato e disumanizzato decine di milioni di esseri umani trasformandoli da persone con un nome a semplici numeri.
L`Europa che domani festeggera` i 20 anni dalla caduta del muro e ogni anno ricorda la Shoah sembra non essere in grado di comprendere come oggi si trovi ad affrontare un nuovo totalitarismo potenzialmente altrettanto pericoloso:l`islamismo.
Dal punto di vista fenomenologico l`islamismo e` un movimento molto lontano da comunismo e nazismo ma dal punto di vista sostanziale appartiene alla stessa famiglia politica.
L`islamismo, fa suo il concetto di colpa aprioristica collettiva che e` la discriminante fondamentale,dal mio punto di vista, per definire una concezione politica totalitaria e la cui applicazione porta inevitabilmente al terrore e al genocidio.
Secondo tale concezione non e` il singolo che e` eventualmente colpevole per le azioni che compie, ma al contrario e` un determinato gruppo etnico, sociale, religioso, che per la sua sola esistenza non puo` che compiere il male e per tanto deve essere eliminato.
Gli atleti di Monaco 72, Daniel Pearl(giornalista ebreo americano decapitato in Pakistan),Leon Klinghoffer (ebreo americano ucciso sull`Achille Lauro) Ilan Halimi(ragazzo ebreo francese torturato fino alla morte in Francia), tutti coloro le cui storie sono cosi` "umanamente" raccontate in questo libro uccisi solo ed esclusivamente perche` ebrei sono i martiri che tragicamente dimostrano questa concezione.
Prima di concludere, vorrei brevemente soffermarmi sulla figura del kamikaze del terrorista suicida. Troppo spesso, in Europa, si cerca di spiegare tale fenomeno attraverso un`interpretazione economica. Cosi` coloro che io amo definire assassini di massa suicida vengono presentati come poveri disperati, che accettano di essere delle armi della disperazione.
In realta`, dalle loro biografie risulta che almeno l`80% di loro hanno un`istruzione superiore o univeristaria e appartengono alla media alta borghesia.Allora perche` scelgono questa soluzione?
Loro scelgono di diventare assassini di massa suicida perche` condividono,sentono propria la concezione che guida l`islamismo nei suoi rapporti con gli ebrei: ossia un ebreo e` meritevole di morte in quanto e` nato.
Sulla base di cio` e` molto piu` logico glorioso e utile alla causa dell`islamismo uccidere trenta ebrei in una discoteca o in un asilo che tre soldati.
Concludo, affermando, che noi europei, abbiamo bisogno di libri come questi, di libri che dimostrano come la speranza puo` prevalere sulla disperazione, l`amore per la vita puo` prevalere sulla cultura della morte. Abbiamo bisogno di libri che dimostrano come prima di tutto siano le persone normali, semplici, comuni ad essere i primi baluardi contro il nnichilismo, i primi portatori di speranza.
Ne abbiamo ancora di piu` bisogno ora che le istituzioni e le elite europee sembrano,in maniera assurda considerare una conquista togliere Dio dal mondo, dalla societa` dalle relazioni interpersonali, nonostante il secolo scorso abbai dimostrato quali sono gli effetti quando l`uomo cerca di cancellare Dio dal mondo.

Alessandro

giovedì 12 novembre 2009

Il teatro sconfigge l`orrore

Articolo tratto da Societa` Aperta
Questo video e` la testimonianza di un`attivita` teatrale molto particolare. Questo corso teatrale, infatti, si svolge a Sderot, l`unica citta` di un paese democratico quotidianamente bombardata ed ha funzione terapeutica per i bambini e gli adolescenti.
Sui media italiani vi e` una periodica copertura di cio` che avviene a Gaza,mentre non vi e` quasi traccia di cio` che succede a Sderot che si trova a pochi chilometri dalla Striscia.
Sderot, per i nostri media, sembra una citta` fantasma, insignificante,mentre e` la dimostrazione che le persone normali,possono essere i primi portatori di speranza e i primi baluardi nella lotta contro il fanatismo nichilista islamista.
Sderot ha una popolazione di circa 24000 abitanti, con una percentuale di giovani molto alta: oltre il 35% della popolazione ha, infatti, meno di 19 anni.
Di questi quasi tutti(circa il 90% facendo una media tra vari studi sul tema) soffrono di disordini emotivi post traumatici, dovuti al continuo stato di guerra in cui si trovano.
I sisntomi piu` ricorrenti tra questi bambini che vivono in questa continua condizione di ansia sono: difficolta` a dormire, incubi, sviluppo di regressioni comportamentali come il voler dormire sempre con la mamma o il bagnare il letto,paura ad uscire di casa.D`altra parte e` impossibile non avere sintomi di stress, quando piu` volte al giorno si hanno solo quindici secondi per cercare di raggiungere il rifugio, dal momento in cui la sirena avvisa che un razzo sta`arrivando.
Inizialmente,per i bambini puo` essere perfino un gioco ma, quando in meno di quattro anni(nel 2005 Israele si ritiro` da Gaza) tale evento si verifica per oltre 7000 volte, proprio loro diventano la fascia piu` colpita da disturbi alla sfera emotiva.
Questo stress post traumatico continuo comporta inevitabilmente anche difficolta` relazionali, perdita di fiducia in se stessi, eccessiva timidezza.
Per questo la comunita` di Sderot ha sviluppato un programma teatrale sostenuto da esperti psicologi che permette ai bambini e agli adolescent di rappresentare in teatro le loro esperienze di vita e quelle dela comunita`.In questo modo riacquistano fiducia,cementano le relazioni personali,esorcizzano le paure quotidiane.
Sderot, e` veramente un “fenomeno” che andrebbe studiato, perche` e` la dimostrazione della forza insita nell` amore per la vita.Nonostante il bombardamento continuo, infatti, le persone non diminuiscono e la citta` ha oltre il 50% di popolazione sotto I 30 anni. Queste persone non perdono la speranza, non rinunciano a vivere la vita e non perdono l`umanita`.Infatti, non distruggono moralmente ed eticamente bambini istillandogli un`odio metafisico verso chi lancia i missili ma cercano di recuperarli, di fargli vivere una vita il piu` possible normale, facendogli superare i traumi con l`attivita` scolastica.
L`esistenza di Sderot e`ancora piu` straordinaria se si pensa che solo a un km di distanza c`e` la Striscia di Gaza.
A Gaza,sotto il potere di hamas ai bambini invece d`insegnare ad amare la vita a costruirsi un futuro s`insegna, tramite libri e cartoni animati, che e` glorioso e giusto farsi saltare in aria uccidendo il maggior numero possible di innocenti.
A scuola, dove si dovrebbero formare le persone, s`insegna che coloro che vivono a solo un km di distanza non hanno il diritto all`esistenza perche` sono malvagi nella loro essenza e pertanto possono solo essere uccisi.
Mentre a Sderot i cittadini vivono dignitosamente a Gaza regna la poverta` la corruzione, la mancanza di liberta`.
Il perche` di questa differenza tra le due citta` e` dal mio punto di vista una sola.
A Gaza c`e` una societa` chiusa basata sul terrore e sull`odio, dove alle persone viene instillato un valore che va contro la natura dell`uomo qual`e` l`amore per la morte.
A Sderot c`e` una societa` aperta basata sull`amore per la vita, la tutela dei deboli, l`impegno a dare un futuro ai propri figli.


Neoconservatore

lunedì 9 novembre 2009

Come Reagan vinse la guerra fredda (5)





Fu proprio questo il significato della visita di Reagan alla Porta di Brandeburgo il 12 giugno 1987, nel corso della quale richiese che Gorbaciov dimostrasse la serietà delle sue intenzioni abbattendo il muro di Berlino.

E nel maggio del 1988 pronunciò davanti alla statua di Lenin nella Università di Mosca la più vibrante difesa della libera società mai rivolta al popolo sovietico. Durante quel viaggio visitò l’antico monastero di Danilov e esaltò il valore della libertà religiosa. All’ambasciata americana, garantì a un gruppo di dissidenti che il giorno della libertà era vicino. Tutte queste iniziative avevano lo scopo di forzare la mano a Gorbaciov.

Per prima cosa Gorbaciov acconsentì a una profonda riduzione unilaterale delle forze sovietiche in Europa. A cominciare dal maggio 1988, le truppe sovietiche si ritirarono dall’Afghanistan. Poco tempo dopo, i soldati sovietici iniziarono a ritirarsi anche dall’Angola, dalla Cambogia e dall’Etiopia. In Europa orientale partì la corsa verso la libertà e il Muro di Berlino venne abbattuto.

In tutto quel periodo, il grande risultato di Gorbaciov, per il quale sarà ricordato dalla storia, è stato quello di non ricorrere all’uso della forza, come invece avevano fatto i suoi predecessori di fronte alle rivolte popolari in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968. Ora Gorbaciov e il suo governo non soltanto permettevano la dissoluzione dell’impero, ma cominciavano a parlare proprio come lo stesso Reagan.

Nell’ottobre 1989 il portavoce del ministro degli Esteri sovietico Gennadi Gerasimov annunciò che l’Unione Sovietica non avrebbe interferito con la politica interna delle nazioni del blocco orientale. "La dottrina Breznev è morta", dichiarò Gerasimov. Ai giornalisti che gli chiedevano con che cosa sarebbe stata sostituita, Gerasimov rispose: "Conoscete la canzone di Frank Sinatra My Way? Ecco, l’Ungheria e la Polonia stanno procedendo proprio in questo modo. Abbiamo la dottrina Sinatra". Lo stesso Reagan non avrebbe potuto usare parole migliori. Infine, la rivoluzione si diffuse nella stessa Unione Sovietica.

Gorbaciov, che aveva perso completamente il controllo degli eventi, si ritrovò escluso dal
potere. L’Unione Sovietica votò a favore dell’abolizione di se stessa. Sarebbero rimasti problemi di adattamento alle nuove condizioni, ma il popolo liberato sapeva che questi problemi sono nettamente preferibili alla vita in schiavitù.

Persino alcuni di coloro che erano stati critici nei confronti di Reagan furono costretti ad ammettere che le sue politiche avevano avuto ragione.

Henry Kissinger ha detto che, sebbene sia stato Bush ad assistere alla definitiva disintegrazione dell’impero sovietico, "è stata la presidenza di Ronald Reagan a segnare il momento di svolta". Il cardinale Casaroli, segretario di Stato del Vaticano, ha dichiarato che il riarmo deciso da Reagan, al quale lui stesso si era opposto, aveva determinato il collasso del comunismo. Queste conclusioni sono ampiamente condivise nell’ex Unione Sovietica e nell’Europa orientale.

Quando il presidente ceco Vaclav Havel si è recato in visita a Washington nel maggio 1997, gli ho domandato se la strategia difensiva e la diplomazia di Reagan fossero stati elementi decisivi per la fine della Guerra fredda. Havel ha risposto affermativamente, aggiungendo che "sia a Reagan che a Gorbaciov va attribuito il merito", perché il comunismo sovietico, per quanto destinato prima o poi a crollare, "senza di loro ci avrebbe impiegato molto più tempo". Le parole di Havel sono incontestabili. Però Reagan ha vinto e Gorbaciov ha perso. Se Gorbaciov è stato il grilletto, Reagan è stato colui che lo ha premuto. Per la terza volta nel XX secolo, gli Stati Uniti hanno combattuto e vinto in una guerra mondiale. Nella Guerra fredda, Reagan è stato il nostro Churchill: è stata la sua visione e la sua leadership a condurci alla vittoria.

Come Ronald Reagan vinse la guerra fredda (4)

Reagan, come Margaret Thatcher, capì subito che Gorbaciov era un uomo diverso dagli altri leader sovietici. Furono piccoli dettagli a farglielo capire. Scoprì che Gorbaciov aveva una grande curiosità per l’occidente e un particolare interesse per tutto ciò che lui gli raccontava su Hollywood. Anche Gorbaciov aveva senso dell’umorismo e sapeva ridere di se stesso. Per di più, era turbato dalla definizione di "impero del male" data precedentemente da Reagan. Per Reagan era significativo che l’idea di comandare un impero del male turbasse Gorbaciov. Inoltre, Reagan rimase colpito dal fatto che Gorbaciov faceva regolarmente riferimento a Dio e a Gesù Cristo nelle sue dichiarazioni pubbliche e nelle interviste. Quando gli veniva chiesto se le sue riforme avessero buone probabilità di riuscire, Gorbaciov rispondeva: "Solo Gesù Cristo può rispondere a questa domanda". Queste parole potevano essere considerate un semplice artificio retorico, ma per Reagan non era così.

Quando nel 1985, a Ginevra, si sedettero al tavolo delle trattative, tuttavia, Reagan si accorse che Gorbaciov era un interlocutore deciso e risoluto, e usò un tono che può essere definito di "rude cordialità". Mentre i comunicati del Dipartimento di Stato dichiaravano le preoccupazioni americane per l’influenza "destabilizzante" dell’occupazione sovietica dell’Afghanistan, Reagan affrontò di petto Gorbaciov: "Quello che state facendo in Afghanistan è bruciare villaggi e uccidere bambini", disse. "E’ un genocidio, Mike, e sei tu che hai il dovere di fermarlo". A questo punto, riferisce Kenneth Adelman, un collaboratore di Reagan presente all’incontro, Gorbaciov lo fissò con un’espressione attonita: Adelman capì che nessuno aveva mai parlato in questi termini al leader sovietico. Reagan minacciò addirittura Gorbaciov: "Non permetteremo che voi mantieniate una superiorità militare su di noi", disse.
"Possiano accordarci sulla riduzione degli armamenti, oppure possiamo continuare la corsa agli armamenti, che, sono convinto, sapete benissimo di non poter vincere".

L’attenzione prestata da Gorbaciov alle osservazioni di Reagan divenne evidente nell’ottobre 1986 al summit di Reikyavik. Gorbaciov stupì l’establishment occidentale accettando l’opzione zero di Reagan e approvando ciò che le altre colombe avevano bollato come del tutto irrealistiche.
Tuttavia Gorbaciov pose una condizione: gli Stati Uniti dovevano accettare di non procedere alla dislocazione di missili difensivi.
Ma Reagan rifiutò. La stampa si scagliò immediatamente all’attacco. Ecco il titolo principale del Washington Post: "Il summit Reagan-Gorbaciov fallisce incagliandosi sullo scoglio dell’Iniziativa di Difesa Strategica". "Affondato dalle Guerre Stellari", recitava la copertina del Time. Per Reagan, comunque, l’Iniziativa di Difesa Strategica era molto più che un gettone di contrattazione; era una questione morale. In una dichiarazione televisiva da Reikyavik il presidente disse: "Non era affatto possibile che io dicessi ai cittadini americani che il governo non intende proteggerli dal rischio di distruzione atomica". I sondaggi dimostrarono che la maggior parte degli americani era con lui. Reikyavik, afferma Margaret Thatcher, fu il punto di svolta nella Guerra fredda. Finalmente Gorbaciov si era reso conto di avere una scelta: continuare una corsa agli armamenti senza possibilità di vittoria che avrebbe distrutto l’economia sovietica, oppure rinunciare alla lotta per la supremazia globale, stabilire pacifiche relazioni con l’occidente e lavorare per rendere l’economia russa prospera quanto le economie occidentali. Dopo Reikyavik, Gorbaciov si decise per la seconda strada. Nel dicembre 1987 rinunciò alla sua richiesta "non negoziabile" di un abbandono del progetto difensivo americano e si recò in visita a Washington per firmare il trattato sulle armi nucleari a media gittata. Per la prima volta nella storia le due superpotenze furono d’accordo sull’eliminazione di un’intera classe di armi atomiche. Mosca accettò persino una verifica sul territorio, cosa che in passato aveva sempre rifiutato. I falchi, tuttavia, erano sospettosi fin dall’inizio.

Secondo loro Gorbaciov era un maestro del gioco degli scacchi: sapeva sacrificare una pedina, ma soltanto per ottenere un vantaggio generale. "Reagan sta finendo in una trappola", ammonì Tom Bethell sull’American Spectator all’inizio del 1985. "Il solo modo in cui può avere successo nei negoziati è facendo ciò che vogliono i sovietici". Senatori repubblicani come Steven Symms e Jesse Helms progettarono "emendamenti killer" per far naufragare l’Iniziativa di difesa strategica. Eppure, come ora ammettono anche alcuni falchi, queste critiche non coglievano nel segno, Gorbaciov non stava semplicemente sacrificando una pedina, ma stava perdendo gli alfieri e la regina.

Il trattato firmato a Washington fu in effetti la prima tappa per la resa di Gorbaciov. Reagan capì che la Guerra fredda era terminata nel momento stesso in cui Gorbaciov giunse a Washington. Negli Stati Uniti Gorbaciov era diventato una celebrità, e c’era una grande folla ad applaudirlo quando scese dalla limousine per stringere le mani alla gente per strada. Fuori dai riflettori, Reagan ebbe una cena con un gruppo di amici conservatori, tra cui Ben Wattenberg, Georgie Ane Geyer e R. Emmett Tyrrell Jr. Come mi ha raccontato lo stesso Wattenberg, tutti si lamentarono del fatto che Gorbaciov stesse ricevendo dai media tutto il merito per un accordo raggiunto sostanzialmente secondo i termini decisi da Reagan. Reagan sorrise. Wattenberg allora chiese: "Abbiamo vinto la Guerra fredda?". Reagan nicchiò. Wattenberg insistette: "Ebbene, l’abbiamo vinta, sì o no?". Finalmente Reagan rispose di sì. In quel momento tutti compresero: Reagan voleva che Gorbaciov avesse il suo giorno di gloria. Quando la stampa gli domandò se si sentisse messo in ombra da Gorbaciov, Reagan replicò: "Buon Dio, una volta volta sono stato protagonista insieme a Errol Flynn". Per apprezzare fino in fondo la sua astuzia e intelligenza diplomatica è necessario tenere presente che Reagan stava seguendo la propria linea politica, rifiutando i consigli sia dei falchi che delle colombe. Reagan sapeva che il movimento riformista era debole, e che i duri del Cremlino non aspettavano altro che delle iniziative americane per neutralizzare l’azione di Gorbaciov. Reagan capì l’importanza di concedere a Gorbaciov uno spazio d’azione per poter proseguire il suo programma di riforme. Allo stesso tempo, quando le colombe del Dipartimento di Stato chiesero a Reagan di "ricompensare" Gorbaciov con concessioni economiche e vantaggi commerciali per il suo annuncio del ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan, Reagan comprese che in questo modo si correva il rischio di guarire completamente l’orso malato.

L’obiettivo di Reagan era, come ha detto una volta lo stesso Gorbaciov, quello di portare l’Unione Sovietica sull’orlo dell’abisso e poi convincerla a fare "un passo avanti". Così Reagan appoggiò gli sforzi riformistici di Gorbaciov e allo stesso tempo continuò ad esercitare una costante pressione per spingerlo ad agire ancora più rapidamente ed in profondità.

Come Reagan vinse la guerra fredda. (3)



Ma una cosa era immaginarsi questa condizione felice, un’altra realizzarla. Quando Reagan salì alla Casa Bianca, l’orso sovietico era ancora arrogante e infuriato. Tra il 1974 e il 1980 era riuscito, con l’invasione diretta o la vittoria dei suoi fantocci, a incorporare dieci paesi nell’orbita comunista: Vietnam del Sud, Cambogia, Laos, Yemen del Sud, Angola, Etiopia, Mozambico, Grenada, Nicaragua e Afghanistan. Per di più, aveva costruito il più formidabile arsenale nucleare del mondo, con migliaia di missili a testata multipla puntati contro gli Stati Uniti. Nell’ambito delle forze convenzionali, il Patto di Varsavia aveva una schiacciante superiorità sulla Nato. Infine, Mosca aveva recentemente dispiegato una nuova generazione di missili a media-gittata, i giganteschi SS-20, puntati sulle città europee. Reagan non reagì semplicemente a questi eventi allarmanti, ma elaborò un’articolata strategia di controffensiva. Avviò un progetto di riarmo per 1500 miliardi di dollari, con lo scopo di attirare i sovietici in una corsa agli armamenti dalla quale era sua convinzione che i russi non sarebbero potuti uscire vincitori. Era anche deciso a convincere l’alleanza occidentale ad accettare la dislocazione di 108 missili Pershing-2 e 464 missili Cruise per controbilanciare gli SS-20. Allo stesso tempo, non rinunciò ai negoziati per la riduzione degli armamenti.

Anzi, propose per la prima volta che le due superpotenze dovessero ridurre drasticamente i loro arsenali nucleari. Se i sovietici avessero ritirato i loro SS-20, disse, gli Stati Uniti non avrebbero fatto piazzare i Pershing e i Cruise. Questa fu definita la "opzione zero".

C’era poi la cosiddetta "dottrina Reagan", che prevedeva un sostegno militare e materiale per i movimenti indigeni che combattevano per rovesciare le tirannie filosovietiche. L’Amministrazione appoggiò la guerriglia in Afghanistan, Cambogia, Angola e Nicaragua. Inoltre, collaborò con il Vaticano e con la sezione internazionale del sindacato americano per sostenere il sindacato polacco Solidarnosc, nonostante la spietata repressione del regime del generale Jaruzelski. Nel 1983, le truppe statunitensi invasero e liberarono Grenada, cacciando il governo marxista e organizzando libere elezioni. Infine, nel marzo 1983, Reagan annunciò la "Iniziativa di Difesa Strategica", un nuovo programma di ricerca e costruzione di difese missilistiche che, per dirlo con le parole dello stesso Reagan, prometteva di "rendere obsolete le armi nucleari". La strategia di controffensiva di Reagan fu continuamente denunciata dalle colombe, che sfruttavano il timore dell’opinione pubblica, cioè la paura che il riarmo voluto da Reagan stesse portando il mondo sull’orlo della guerra atomica. L’opzione zero fu bollata da Strobe Talbott come "del tutto irrealistica". Con l’eccezione dell’appoggio per i mujahedin afghani, ogni sforzo per aiutare i ribelli anticomunisti fu ostacolato dalle colombe del Congresso e dei media. L’iniziativa di Difesa Strategica fu definita dal New York Times come "una trasposizione della fantasia nella politica".
L’Unione Sovietica si mostrò altrettanto ostile nei confronti della controffensiva di Reagan, ma comprese molto meglio delle colombe americane i suoi veri obiettivi. Il giornale Izvestiya protestò: "Gli americani ci vogliono costringere a una corsa agli armamenti ancora più dispendiosa e disastrosa". Il segretario generale Yuri Andropov asserì che il programma difensivo di Reagan era "un tentativo di disarmare l’Unione Sovietica". L’esperto diplomatico Andrey Gromyko disse che "dietro a tutte queste bugie sta il chiaro calcolo che l’Urss esaurirà le proprie risorse materiali e sarà perciò costretta ad arrendersi".

Queste dichiarazioni sono importanti perché definiscono il contesto in cui è avvenuta l’ascesa al potere di Gorbaciov all’inizio del 1985. Gorbaciov era effettivamente un nuovo tipo di leader sovietico, ma ben pochi si sono chiesti perché venne eletto dalla vecchia guardia. La ragione principale è che il Politburo aveva compreso che le vecchie strategie erano fallite. Reagan, in altre parole, sembra avere avuto il merito di provocare un crollo di nervi che ha spinto Mosca a cercare un nuovo approccio. La nomina di Gorbaciov non serviva soltanto per trovare un nuovo modo di risolvere i problemi economici del paese ma anche per affrontare i rovesci subiti dall’Urss all’estero.

Proprio per questo Ilya Zaslavsky, membro del congresso sovietico del popolo, ha detto che il vero creatore della perestroika e della glasnost non è stato Gorbaciov ma Reagan. Gorbaciov suscitò straordinari entusiasmi nella sinistra e nei media dell’occidente. Mary McGrory, del Washington Post, era convinta che "avesse in tasca le istruzioni per l’uso per salvare il pianeta". Gail Sheehy era abbagliata dalla sua "luminosa presenza". Nel 1990 la rivista Time lo proclamò "uomo del decennio" e lo paragonò a Franklin Roosevelt. Esattamente come Roosevelt aveva trasformato il capitalismo per salvarlo, così Gorbaciov aveva reinventato il socialismo per farlo sopravvivere. La ragione di questo imbarazzante infatuazione è che Gorbaciov era proprio il tipo di leader che gli intellettuali occidentali ammirano di più: un riformatore dall’alto che si presentava come un progressista; un tecnocrate che pronunciava discorsi di tre ore per descrivere i risultati della pianificazione agricola. Soprattutto, il nuovo leader sovietico stava cercando di realizzare la grande speranza dell’intellighenzia occidentale: il comunismo con un volto umano! Un socialismo che funziona! Tuttavia, come scoprì lo stesso Gorbaciov, e come tutti noi oggi sappiamo, non era una speranza realizzabile. I difetti che Gorbaciov cercava di sradicare dal sistema si rivelarono caratteristiche integranti del sistema stesso. Se Reagan era il Grande Comunicatore, Gorbaciov si è infine dimostrato, come ha detto Zbigniew Brzezinski, il Grande Fraintenditore. Gorbaciov non va paragonato a Roosevelt ma a Jimmy Carter. I duri del Cremlino che lo misero in guardia sul fatto che le sue riforme avrebbero causato il crollo dell’intero sistema avevano ragione. Anzi, anche i falchi occidentali hanno avuto il loro trionfo: il comunismo era in effetti immutabile e irreversibile, nel senso che il sistema poteva essere riformato soltanto con la sua distruzione. Gorbaciov, al pari di Jimmy Carter, aveva una qualità positiva: era una persona onesta e di mentalità aperta. E’ stato il primo leader sovietico proveniente dalla generazione post-staliniana, il primo ad ammettere apertamente che le promesse di Lenin non erano state realizzate.

Come Reagan vinse la guerra fredda. (2)





Reagan creò ciò che Henry Kissinger definisce "il più stupefacente successo diplomatico della nostra epoca". O, come ha detto Margaret Thatcher, "Ronald Reagan vinse la Guerra fredda senza sparare un solo colpo". Reagan aveva una visione del comunismo sovietico molto più scettica di quella delle colombe e dei falchi. Nel 1981, in un discorso pronunciato alla University of Notre Dame, disse "L’occidente non si limiterà a contenere il comunismo, ma lo trascenderà. Se ne sbarazzerà come un capitolo bizzarro nella storia dell’uomo, prima ancora che ne siano scritte le ultime pagine". L’anno dopo, parlando di fronte al parlamento inglese, Reagan affermò che se l’alleanza occidentale fosse rimasta forte avrebbe avviato "un marcia verso la libertà e la democrazia che avrebbe lasciato il marxismo-leninismo nelle ceneri della storia".

Queste profetiche dichiarazioni (allora bollate come vana retorica) sollevano una questione ben precisa: come faceva Reagan a sapere che il comunismo sovietico era sull’orlo del precipizio quando le menti più fini del tempo non avevano la benché minima idea di cosa potesse accadere? Per rispondere a questa domanda, la cosa migliore è cominciare con le stesse battute di Reagan. Nel corso della sua vita, Reagan aveva collezionato un grande numero di storielle e barzellette che lui riferiva al popolo russo. In una c’è un uomo anziano che entra in un negozio di Mosca e chiede un chilo di carne, mezzo chilo di burro e due etti e mezzo di caffe. "Li abbiamo esauriti", risponde il commesso del negozio, e l’uomo se ne va. Un’altra persona, che aveva assistito alla scena, dice al commesso: "Quel vecchio deve essere pazzo"; "Sì", risponde il commesso, "ma che memoria!". In un’altra c’è un russo che entra in una concessionaria di automobili per comprare una macchina. Gli viene detto che deve pagare subito, ma che ci vorranno dieci anni prima di potere ritirare l’auto. Dopo avere compilato tutti i moduli e espletato tutte le formalità necessarie, e avere pagato la macchina, il funzionario addetto gli dice: "Torni fra dieci anni per ritirarla". Lui allora chiede: "Mattina o pomeriggio?"; "Ma è fra dieci anni, che importanza ha?", risponde il funzionario. "La mattina aspetto l’idraulico".


Reagan poteva andare avanti così per ore e ore. Quello che colpisce, tuttavia, è che le battute di Reagan non si riferivano alla malvagità del comunismo ma alla sua incompetenza. Reagan era d’accordo con i falchi sul fatto che l’esperimento sovietico per la creazione di un "uomo nuovo" fosse immorale. Allo stesso tempo, era convinto che fosse anche sostanzialmente una stupidaggine. Reagan non aveva bisogno di un dottorato in economia per riconoscere che qualsiasi economia basata su pianificatori centralizzati che decidono quanto devono produrre le fabbriche, quanto deve consumare il popolo e come devono essere assegnate le ricompense sociali è destinata ad un rovinoso fallimento.


Per Reagan l’Unione Sovietica era un "orso malato"; e la domanda era non se fosse crollato, ma quando. Tuttavia, se l’Unione Sovietica aveva una economia traballante, possedeva però un potente apparato militare. Nessuno dubitava che i missili sovietici, se lanciati contro obiettivi americani, avrebbero causato spaventose distruzioni. Ma Reagan sapeva anche che l’Impero del male stava spendendo almeno il 20 per cento del suo pil per la difesa. Così Reagan elaborò l’idea che l’occidente poteva usare le proprie superiori risorse economiche di una libera società per costringere Mosca a fare spese eccessive nella corsa agli armamenti, provocando così pressioni insostenibili sul regime sovietico.
Reagan formulò la sua teoria dell’"orso malato" già nel maggio 1982, in un discorso pronunciato all’Eureka College, nel quale disse:

"L’impero sovietico sta vacillando perché il rigido controllo centralizzato ha distrutto gli stimoli per l’innovazione, l’efficienza e l’ambizione individuale. Nonostante i suoi problemi sociali ed economici, la dittatura sovietica ha costruito il più grande esercito del mondo. Lo ha fatto infischiandosene dei bisogni umani del suo popolo; e alla fine questa scelta scardinerà le fondamenta del sistema sovietico".

Gli orsi malati, comunque, possono essere molto pericolosi perché tendono ad attaccare. Per di più, visto che in realtà stiamo parlando di uomini e non di animali, c’è anche la questione dell’orgoglio, i leader di un impero internamente debole non accettano passivamente l’erosione del loro potere.
Normalmente si rivolgono alla prima fonte del loro potere: le forze militari.

Reagan era convinto che la politica dell’appeasement avrebbe soltanto aumentato l’appetito dell’orso, spingendolo a nuove aggressioni. Così era d’accordo con la strategia anticomunista, secondo la quale bisognava affrontare con decisione i sovietici. Ma aveva molta più fiducia di quanta ne avevano i falchi nella capacità degli americani di affrontare la sfida. "Dobbiamo renderci conto", disse nel suo primo discorso di insediamento, "che nessuna arma in qualsiasi arsenale del pianeta ha la stessa forza della volontà e del coraggio morale degli uomini e delle donne di un paese libero".

Il carattere più rivoluzionario del pensiero di Reagan era che non accettava l’assioma dell’immutabilità sovietica. In un momento in cui nessun altro era in grado di farlo, Reagan osò immaginare un mondo in cui il regime comunista dell’Unione Sovietica non esisteva piu`

sabato 7 novembre 2009

Come Ronald Reagan vinse la guerra fredda

E` un bellissimo articolo che,proprio in questi giorni mentre si cerca di modificare la storia di quegli anni, attribuendo per esempio la patente di vincitore a Gorbaciov e si dimentica Reagan e Woityla, ricorda alcune verita.
Innanzitutto dimostra come i liberals avessero nei confronti del comunismo gli stessi atteggiamenti che ora hanno nei confronti dell`islamismo, e un tempo avevano nei confronti del nazismo.Il tutto riassumibile nella parola appeasement.Evidenzia come Ronald Reagan,fosse un convinto anticomunista ma non fosse un fanatico, incapace di capire quando cambiare tattica.
Evidenzia come Gorbaciov fosse l`uomo perfetto per le elite` occidentlai che ogdevano dei benefici del sistema capitalistico ma amavano che nell`Europa dell`est continuasse a dominare il male.
Ricorda,l`importanza del "telefono bianco" tra S.Sede e Casa Bianca,nell`aprire una breccia fondamentale nel monolite totalitario comunista.
Ricorda infine,coem l`oratoria aggressiva di Reagan, i suo dire la verita` sul comunismo, abbia rafforzato i dissidenti russi.

Dieci anni fa Ronald Reagan, di fronte alla Porta di Brandeburgo, disse: "Segretario generale Gorbaciov, se davvero volete la pace, la prosperità per l’Unione Sovietica e l’Europa orientale, e la liberalizzazione, venite davanti a questa porta. Aprite questa porta, signor Gorbaciov! Buttate giù questo muro!". Non molto tempo dopo, il muro crollò a pezzi e uno dei più formidabili imperi della storia collassò così rapidamente che, per dirlo con le parole di Vaclav Havel, "non ci fu nemmeno il tempo per stupirsi". Con la disintegrazione dell’Unione Sovietica, l’esperimento politico e sociale più ambizioso dell’età moderna si concluse in un fallimento, e terminò il supremo dramma politico del XX secolo: il conflitto tra il libero occidente e l’est totalitario. Quello che risulterà probabilmente il più importante evento storico dei nostri tempi è già avvenuto.

Considerando tutto questo, viene naturale domandarsi che cosa abbia provocato la distruzione del comunismo sovietico. Eppure, stranamente, è un argomento che nessuno sembra disposto a discutere. Questa riluttanza è particolarmente forte tra gli intellettuali. Pensiamo soltanto a cosa accadde il 4 giugno 1990, quando Mikhail Gorbaciov parlò davanti agli studenti e ai professori della Stanford University. La Guerra fredda era finita, disse, e il pubblico applaudì con grande senso di sollievo.
Poi Gorbaciov aggiunse: "E non mettiamoci a discutere su chi l’abbia vinta". A questo punto il pubblico si alzò in piedi. Partì un applauso scrosciante.
Era comprensibile che Gorbaciov volesse evitare questo argomento. Ma per quale motivo anche gli evidenti vincitori della Guerra fredda erano altrettanto refrattari a celebrare la loro vittoria o ad analizzare come era stata ottenuta? Forse la ragione è semplicemente questa: sull’Unione Sovietica, praticamente tutti si sbagliavano.

Le colombe e i sostenitori dell’appeasement non avevano capito assolutamente nulla. Per esempio, nel 1983, quando Reagan definì l’Unione Sovietica un "impero del male", Anthony Lewis, giornalista del New York Times, era così indignato che setacciò tutto il suo repertorio lessicale in cerca dell’aggettivo più appropriato: "semplicistico", "settario", "pericoloso", "oltraggioso".Alla fine scelse "primitivo: la sola parola adatta".
Alla metà degli anni Ottanta, Strobe Talbott, allora giornalista del Time e successivamente funzionario del Dipartimento di Stato nell’Amministrazione Clinton, scrisse: "Reagan conta sulla supremazia tecnologica ed economica americana per vincere", quando invece "l’Unione Sovietica aveva imparato a convivere con una crisi permanente ed istituzionalizzata".
La storica Barbara Tuchman sostenne che invece di impiegare una politica di scontro, l’occidente doveva ingraziarsi l’Unione Sovietica usando la "tattica del tacchino ripieno: vale a dire, fornirle tutto il grano e i beni di consumo di cui ha bisogno". Se Reagan avesse seguito questo consiglio nel 1982, oggi l’Impero Sovietico sarebbe probabilmente ancora vivo. I falchi e gli anticomunisti comprendevano molto meglio la natura del totalitarismo, e comprendevano la necessità di una politica di riarmo come deterrente all’aggressione sovietica. Ma credevano anche che il comunismo sovietico fosse un avversario permanente e praticamente indistruttibile.

Questo lugubre pessimismo di sapore spengleriano risuona nelle famose parole pronunciate nel 1948 da Whittaker Chambers di fronte al comitato per le attività antiamericane quando disse che, abbandonando il comunismo, "stava lasciando lo schieramento vincente per passare in quello dei perdenti". I falchi non avevano neppure capito quali passi fossero necessari per determinare il definitivo smantellamento dell’impero sovietico. Durante gli anni del suo secondo mandato, quando Reagan appoggiò gli sforzi riformistici di Gorbaciov e sottoscrisse accordi per la riduzione degli armamenti, molti conservatori denunciarono il suo apparente cambio di rotta. "Ignorante e patetico": con queste parole Charles Krauthammer definì il comportamento di Reagan. William F. Buckley Jr. raccomandò a Reagan di riconsiderare il suo giudizio sul regime di Gorbaciov: "Salutarlo come se non fosse più l’impero del male è la stessa cosa che cambiare la nostra opinione su Adolf Hitler". George Will si lamentò che Reagan avesse "accelerato il disarmo morale dell’occidente elevando i pii desideri al rango di una filosofia politica".

A nessuno piace che le proprie conoscenze siano messe in discussione, ma le colombe proprio non riescono ad ammettere che erano loro a sbagliarsi e che Reagan aveva ragione. Di conseguenza questo gruppo negli ultimi anni ha fatto grossi sforzi per riscrivere la storia. Non c’è nessun mistero sulla caduta dell’Unione Sovietica, dicono i revisionisti: soffriva di cronici problemi economici ed è collassata sotto il proprio peso. "Il sistema sovietico si è sciolto e sfaldato per le sue stesse carenze e difetti strutturali", scrive Strobe Talbott, "e non per qualcosa fatto dal mondo esterno". Secondo Talbott, "la minaccia sovietica non è quella che sembrava una volta. Anzi, il punto vero è che non è mai stata una minaccia. Le colombe, nel grande dibattito degli ultimi quarant’anni, hanno avuto sempre ragione".

Nel frattempo, la "estrema militarizzazione" voluta da Reagan e dai duri del Pentagono, insiste George Kennan, "ha rafforzato le stesse posizioni anche nell’Unione Sovietica". Lungi dall’avere accelerato la fine della Guerra fredda, la politica di Reagan potrebbe averne addirittura ritardato la conclusione. Si tratta di un’analisi che colpisce, se non altro per la sua audacia. L’Unione Sovietica effettivamente aveva gravissimi problemi economici. Ma perché questi problemi avrebbero dovuto necessariamente causare la fine del regime politico? Storicamente è una cosa consueta che le nazioni attraversino periodi di recessione economica, ma le carestie o l’arretratezza tecnologica non sono mai state cause sufficienti per determinare il crollo di un grande impero. L’impero romano sopravvisse alla corrosione interna per secoli, prima di essere distrutto dall’invasione delle orde barbariche. L’impero ottomano continuò a vivere come "il malato d’Europa" per generazioni, e cadde definitivamente soltanto con la catastrofica sconfitta subita nella Prima guerra mondiale.
Neppure l’argomento economico è in grado di spiegare perché l’impero sovietico sia crollato o perché il crollo sia avvenuto in quel preciso momento. I revisionisti dicono: è accaduto, e quindi era inevitabile. Ma se il collasso dell’Unione Sovietica era così certo, perché i revisionisti non sono stati capaci di prevederlo, e anzi proclamavano, per citare un articolo pubblicato da Anthony Lewis nel 1983, che il regime sovietico "non era destinato a scomparire"?
E’ altrettanto difficile sostenere che Gorbaciov sia stato il vero architetto del crollo dell’Unione Sovietica. Gorbaciov è stato senza dubbio un riformatore e un leader di tipo completamente nuovo per l’Urss. Ma non aveva nessuna intenzione di condurre il partito, e tutto il regime, dentro al precipizio.
Perciò, quando avvenne il crollo, il più stupito fu proprio lui. Non si aspettava minimamente di essere escluso dal potere, e ancora oggi è assolutamente indignato dal fatto di avere ottenuto soltanto l’uno per cento dei voti nelle elezioni del 1996.
L’uomo che aveva capito tutto fin dall’inizio era, a prima vista, un improbabile statista.
Quando divenne il leader del mondo libero, non aveva nessuna esperienza in politica estera. Alcuni pensarono che fosse un pericoloso guerrafondaio; altri lo consideravano una brava persona, ma un po’ pasticcione. Ciononostante, questo insignificante fantoccio californiano dimostrò di avere una comprensione del comunismo altrettanto profonda di quella di Alexander Solzhenitsyn. Per affrontare l’Unione Sovietica, questo dilettante elaborò una strategia complessa e articolata che quasi nessuno dei suoi collaboratori approvava o addirittura capiva fino in fondo. Attraverso una combinazione di immaginazione, tenacia, pazienza e capacità di improvvisazione.

La speranza di riavere la vera America



Dopo aver assaporato la sconfitta dei democratici alle elezioni dei gironi scorsi, posso dire finalmente!!!
Nonostante la stampa lo abbia presentato come un`eroe, come il Messia, come il re mida,Obama finora ha solo fatto pessime cose, e alla prima occasione gli americani glielo hanno ricordato.
Inizio con la politica estera, anche se sarebbe meglio stendervi sopra un velo pietoso.
Obama ha pateticamente cercato di addossare tutte le colpe sui problemi del mondo all`America,rinnegando il simbolo di America come simbolo di democrazia, cercando l`appeasement con le dittature, inventandosi un`islam che non esiste.
A proposito dell`islam perfino il cardinal Martini,ha sostenuto che l`islam pacifico moderato e` una minoranza non rilevante rispetto alla maggioranza islamista, quindi come possa essere presentata come la faccia reale dell`islam lo sa solo Obama.
Ha lasciato l`Europa dell`est all`influenza russa,ha flirtato con Chavez e Castro. Ebbene l`unica cosa che ha ottenuto e` far morire piu` soldati in Afghanistan e farsi portare per il naso dall`Iran, dalla Corea del Nord,dalla Russia.Tutti infatti hanno ottenuto qualcosa, lasciandolo con un pugno di mosche in mano.
Non teniamo conto della nomina di giudici anticristiani come David Hamilton(e` stata la sua prima nomina) che voleva vietare ai deputati dell`Indiana d`invocare Dio e Gesu Cristo,prima d`iniziare i lavori ( http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2009/03/17/AR2009031703031.html),e ha cercato di smantellare la legislazione dello stato che prevede l`obbligo d`informare le donne sulla possibilita` di ricorrere a soluzioni altternative all`aborto.
Non consideriamo gli aiuti alle organizzazioni che usano l`aborto come metodo di selezione dell`umanita` nei paesi del terzo mondo(cambiando la legge di Regan e Bush junior)
Non considerando tutto cio`, rimane, comunque, il fatto che in un anno di Obama la disocccupazione e` cresciuta a livelli record,, gli aiuti li hanno ricevuti solo le grandi banche e le societa` di Wall Street,(molte delle quali suoi finanziatrici) e non le famiglie e le imprese medie che costituiscono oltre il 90% delle imprese americane. Infine aggiungiamoci la proposta sanitaria in cui per risparmiare ai soldati reduci definiti pesi economici e sociali, viene offerta la possibilita` del suicidio assistito; offerta disponibile anche per gli over 65... Considerando tutto cio` inevitabilmente i democratici erano destinati a perdere questa tornata elettorale.Ora l`unica cosa che i repubblicani non devono fare e` dividersi com`e` avvenuto nel distretto 23 dello Stato di New York.
Vincere le elezioni del 2010 per trasformare Obama in un`anatra zoppa, acquisendo il controllo delle camere, e` troppo importante per il futuro dell`America.
Per evitare che l`America non venga trasformata in una scristianizzata socialdemocrazia europea.

Neoconservatore

venerdì 6 novembre 2009

Berlusconi e una visione distorta degli interessi italiani


Ieri il ministro degli esteri polacco ha ricordato come per i paesi dell`Est sarebbe alquanto inopportuno avere D`Alema, un uomo con un passato comunista mai messo in discussione, come ministro degli esteri dell`Unione Europea.
Il problema, infatti, non e` tanto il passato di D`Alema, quanto il fatto che egli non abbia mai messo in discussione il suo passato ed anzi lo utilizzi ancora per ottenere consensi.
I paesi dell`est hanno vissuto il comunismo, quindi alle favole sulla bonta` di tale idea e della sua applicazione, non possono credere.A causa del comunismo,sono vissuti nel terrore nella poverta` nella disperazione per 50 anni.A causa del comunismo, larga parte di quei paesi sono dovuti diventare paesi d`emigrazione di massa.
Ora,proprio nei giorni del ventennale caduta del Muro, il simbolo suprema dell`oppressione comunista, c`e il rischio che un (ex?!) comunista diventi ministro degli esteri.Una bella beffa.
La giustificazione berlusconiana che D`Alema e` italiano e quindi farebbe gli interessi dell`Italia, apparentemente ha un senso ma in realta` non giustifica una tale scelta.
Al di la` del pasato comunista, infatti, D`Alema ha dimostrato una spiccata tendenza filoislamica che rischia di spostare ancora di piu` su posizioni pericolose un Europa gia` prona nei confronti dell`islamismo.
D`Alema e` l`uomo che ha ostentato orgogliosamente le sue simpatie per un`organizzazione nazislamica(e` sufficiente vedere i video e le immagini su gooogle,a tal proposito, )che nega l`Olocausto e vieta un libro come i Diari di Anna Frank perche` frutto dell`immaginazione sionista.
D`Alema e` l`uomo che ha difeso un`organizzazione terroristica(Hamas) che insegna ai bambini la matematica, con problemi in cui al posto di mele o pere si parla di ebrei uccisi.
Ora Berlusconi ritiene che una politica estera inspirata a questi principi sia un bene per l`Italia?
Gli unici interessi italiani che D`Alema puo` tutelare sono quelli delle imprese, delle grandi imprese italiane.Se e` cosi` pero`e` l`ennesima dimostrazione che Berlusconi e` ben lontano dall`essere un leader conservatore,nel senso anglosassone del termine; e` la dimostrazione che Berlusconi sottovaluta l`importanza dei valori e della sua diffusione e opera esclusivamente sulla base di una visione economica della storia.

Neoconservatore