lunedì 9 novembre 2009

Come Ronald Reagan vinse la guerra fredda (4)

Reagan, come Margaret Thatcher, capì subito che Gorbaciov era un uomo diverso dagli altri leader sovietici. Furono piccoli dettagli a farglielo capire. Scoprì che Gorbaciov aveva una grande curiosità per l’occidente e un particolare interesse per tutto ciò che lui gli raccontava su Hollywood. Anche Gorbaciov aveva senso dell’umorismo e sapeva ridere di se stesso. Per di più, era turbato dalla definizione di "impero del male" data precedentemente da Reagan. Per Reagan era significativo che l’idea di comandare un impero del male turbasse Gorbaciov. Inoltre, Reagan rimase colpito dal fatto che Gorbaciov faceva regolarmente riferimento a Dio e a Gesù Cristo nelle sue dichiarazioni pubbliche e nelle interviste. Quando gli veniva chiesto se le sue riforme avessero buone probabilità di riuscire, Gorbaciov rispondeva: "Solo Gesù Cristo può rispondere a questa domanda". Queste parole potevano essere considerate un semplice artificio retorico, ma per Reagan non era così.

Quando nel 1985, a Ginevra, si sedettero al tavolo delle trattative, tuttavia, Reagan si accorse che Gorbaciov era un interlocutore deciso e risoluto, e usò un tono che può essere definito di "rude cordialità". Mentre i comunicati del Dipartimento di Stato dichiaravano le preoccupazioni americane per l’influenza "destabilizzante" dell’occupazione sovietica dell’Afghanistan, Reagan affrontò di petto Gorbaciov: "Quello che state facendo in Afghanistan è bruciare villaggi e uccidere bambini", disse. "E’ un genocidio, Mike, e sei tu che hai il dovere di fermarlo". A questo punto, riferisce Kenneth Adelman, un collaboratore di Reagan presente all’incontro, Gorbaciov lo fissò con un’espressione attonita: Adelman capì che nessuno aveva mai parlato in questi termini al leader sovietico. Reagan minacciò addirittura Gorbaciov: "Non permetteremo che voi mantieniate una superiorità militare su di noi", disse.
"Possiano accordarci sulla riduzione degli armamenti, oppure possiamo continuare la corsa agli armamenti, che, sono convinto, sapete benissimo di non poter vincere".

L’attenzione prestata da Gorbaciov alle osservazioni di Reagan divenne evidente nell’ottobre 1986 al summit di Reikyavik. Gorbaciov stupì l’establishment occidentale accettando l’opzione zero di Reagan e approvando ciò che le altre colombe avevano bollato come del tutto irrealistiche.
Tuttavia Gorbaciov pose una condizione: gli Stati Uniti dovevano accettare di non procedere alla dislocazione di missili difensivi.
Ma Reagan rifiutò. La stampa si scagliò immediatamente all’attacco. Ecco il titolo principale del Washington Post: "Il summit Reagan-Gorbaciov fallisce incagliandosi sullo scoglio dell’Iniziativa di Difesa Strategica". "Affondato dalle Guerre Stellari", recitava la copertina del Time. Per Reagan, comunque, l’Iniziativa di Difesa Strategica era molto più che un gettone di contrattazione; era una questione morale. In una dichiarazione televisiva da Reikyavik il presidente disse: "Non era affatto possibile che io dicessi ai cittadini americani che il governo non intende proteggerli dal rischio di distruzione atomica". I sondaggi dimostrarono che la maggior parte degli americani era con lui. Reikyavik, afferma Margaret Thatcher, fu il punto di svolta nella Guerra fredda. Finalmente Gorbaciov si era reso conto di avere una scelta: continuare una corsa agli armamenti senza possibilità di vittoria che avrebbe distrutto l’economia sovietica, oppure rinunciare alla lotta per la supremazia globale, stabilire pacifiche relazioni con l’occidente e lavorare per rendere l’economia russa prospera quanto le economie occidentali. Dopo Reikyavik, Gorbaciov si decise per la seconda strada. Nel dicembre 1987 rinunciò alla sua richiesta "non negoziabile" di un abbandono del progetto difensivo americano e si recò in visita a Washington per firmare il trattato sulle armi nucleari a media gittata. Per la prima volta nella storia le due superpotenze furono d’accordo sull’eliminazione di un’intera classe di armi atomiche. Mosca accettò persino una verifica sul territorio, cosa che in passato aveva sempre rifiutato. I falchi, tuttavia, erano sospettosi fin dall’inizio.

Secondo loro Gorbaciov era un maestro del gioco degli scacchi: sapeva sacrificare una pedina, ma soltanto per ottenere un vantaggio generale. "Reagan sta finendo in una trappola", ammonì Tom Bethell sull’American Spectator all’inizio del 1985. "Il solo modo in cui può avere successo nei negoziati è facendo ciò che vogliono i sovietici". Senatori repubblicani come Steven Symms e Jesse Helms progettarono "emendamenti killer" per far naufragare l’Iniziativa di difesa strategica. Eppure, come ora ammettono anche alcuni falchi, queste critiche non coglievano nel segno, Gorbaciov non stava semplicemente sacrificando una pedina, ma stava perdendo gli alfieri e la regina.

Il trattato firmato a Washington fu in effetti la prima tappa per la resa di Gorbaciov. Reagan capì che la Guerra fredda era terminata nel momento stesso in cui Gorbaciov giunse a Washington. Negli Stati Uniti Gorbaciov era diventato una celebrità, e c’era una grande folla ad applaudirlo quando scese dalla limousine per stringere le mani alla gente per strada. Fuori dai riflettori, Reagan ebbe una cena con un gruppo di amici conservatori, tra cui Ben Wattenberg, Georgie Ane Geyer e R. Emmett Tyrrell Jr. Come mi ha raccontato lo stesso Wattenberg, tutti si lamentarono del fatto che Gorbaciov stesse ricevendo dai media tutto il merito per un accordo raggiunto sostanzialmente secondo i termini decisi da Reagan. Reagan sorrise. Wattenberg allora chiese: "Abbiamo vinto la Guerra fredda?". Reagan nicchiò. Wattenberg insistette: "Ebbene, l’abbiamo vinta, sì o no?". Finalmente Reagan rispose di sì. In quel momento tutti compresero: Reagan voleva che Gorbaciov avesse il suo giorno di gloria. Quando la stampa gli domandò se si sentisse messo in ombra da Gorbaciov, Reagan replicò: "Buon Dio, una volta volta sono stato protagonista insieme a Errol Flynn". Per apprezzare fino in fondo la sua astuzia e intelligenza diplomatica è necessario tenere presente che Reagan stava seguendo la propria linea politica, rifiutando i consigli sia dei falchi che delle colombe. Reagan sapeva che il movimento riformista era debole, e che i duri del Cremlino non aspettavano altro che delle iniziative americane per neutralizzare l’azione di Gorbaciov. Reagan capì l’importanza di concedere a Gorbaciov uno spazio d’azione per poter proseguire il suo programma di riforme. Allo stesso tempo, quando le colombe del Dipartimento di Stato chiesero a Reagan di "ricompensare" Gorbaciov con concessioni economiche e vantaggi commerciali per il suo annuncio del ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan, Reagan comprese che in questo modo si correva il rischio di guarire completamente l’orso malato.

L’obiettivo di Reagan era, come ha detto una volta lo stesso Gorbaciov, quello di portare l’Unione Sovietica sull’orlo dell’abisso e poi convincerla a fare "un passo avanti". Così Reagan appoggiò gli sforzi riformistici di Gorbaciov e allo stesso tempo continuò ad esercitare una costante pressione per spingerlo ad agire ancora più rapidamente ed in profondità.

3 commenti:

  1. però i veri artefici della caduta del muto furono Bush senior,gorbaciov ed helmut Kohl

    http://www.loccidentale.it/articolo/mikhail+gorbacev+e+la+caduta+del+muro+di+berlino%3A+conseguenze+intenzionali+e+non+della+perestroika.0081111

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  2. Non condivido.Il ruolo di Bush senior fu dal mio punto di vista del tutto secondario, e Gorbacev come dice questo articolo cerco` di fare l`impossibile ossia riformare il comunismo.
    Ebbe il merito di non usare i carri armati, ma al collasso ce lo porto` la politica di Reagan

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  3. amico mio... abbiamo punti vista MOLTO in comune!
    ;)

    http://alessandrotesio.blogspot.com/2010/11/complotti-alieni-evangelici-e-la-paura.html

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